By Tyler mercoledì 15 febbraio 2006 - 14:42

Caso Ferrando punta dell’iceberg. Una parte dell’Unione condivide le dichiarazioni del trotzkista News del 15-02-2006

La rimozione di Marco Ferrando dalle liste di Rifondazione Comunista alla Camera non rimuove il problema legato alle sue affermazioni su Israele e sulla strage di Nassirya, soprattutto non elimina il vero problema di fondo, che cioè una parte non irrilevante dell’elettorato di sinistra le cose che il trotzkista ha dichiarato le condivide.

È il popolo che urlava 10,100,1000 Nassirya alle manifestazioni ‘pacifiste’, e che di fronte all’uccisione di Fabrizio Quattrocchi parlò senza mezzi termini della morte di un mercenario che ce l’era cercata e che faceva la spia per conto degli americani.
Le persone più illuminate a sinistra ne sono ben consapevoli, i vari Ranieri e Caldarola.
Il popolo di sinistra è in parte antiamericano, antiisraeliano, Marco Ferrando ha dato voce ad un atteggiamento che fra gli elettori di Rifondazione Comunista, del Pdci, dei Verdi e anche dei Ds esiste.

Si pensi, per rimanere alle ultime settimane, alla polemica che ha investito il sindaco cossuttiano di un grosso comune campano, Marano, dopo la sua decisione di rimuovere la targa che intitolava una via alle vittime dell’attentato di Nassirya per sostituirla con una targa dedicata al martire Arafat “martiri non sono loro, che erano li a pagamento - disse il primo cittadino comunista - martire è Yasser Arafat, che si è sacrificato per il popolo palestinese. Perció gli dedichiamo una strada”.

Ancora da ultimo la polemica nel Pdci sulle foibe. Gli esempi non mancano.
Il clima è quello che è, poi scappano anche i nervi, come è accaduto ieri al presidente dei Ds Massimo D’Alerna che, duellando in tv con il vicepremier Fini, ha paragonato i kamikaze assassini a coloro che usano il fosforo bianco, cioè i militari Usa.

“Purtroppo per i comunisti e per i post comunisti il torto è sempre dalla parte degli americani — spiega Gustavo Selva, presidente della commissione esteri di Montecitorio ed esponente di An — non c’è niente da fare”.
Se le parole di Gustavo Selva possono apparire gravi allora si rilegga l’intervista che l’ambasciatore di Israele in Italia Ebud Gol ha rilasciato la scorsa settimana al settimanale News “D’Alema non è mio amico, con lui preferisco parlare di calcio piú che di politica.
Nemici ne ho pochi, uno è certamente Oliviero Diliberto, non l’ho mai incontrato, ma è pieno di odio verso di me ed è amico dei terroristi…”.

Questo background da bene la misura di quanto una potenziale maggioranza non autosufficiente in politica estera sia destinata ad entrare in crisi ad ogni appuntamento parlamentare che riguardi la posizione del nostro Paese nel consesso internazionale. Per esempio come fará ‘intera Unione in caso di vittoria ad assicurare la proroga delle missioni militari italiane in Afghanistan o nel Kosovo?
Dovrá ricorrere al supporto dell’eventuale opposizione.

E se l’esecutivo fosse chiamato di nuovo a prendere decisioni come quelle assunte dal governo D’Alema sulla ex Jugolsavia cosa accadrebbe? Si tratta di uno scenario per ora certo lontano, ma che giá agita i sonni della sinistra.
Nel 1998 il governo Prodi cadde per tante ragioni ma certamente una dí queste fu la necessitá di assicurare una maggioranza compatta a sostegno dell’azione militare.
La crisi del governo Prodi venne infatti da lontano, da quando cioè sul finire del 1997 venne siglato dall’Italia il cosiddetto activation order che, nell’escalation Nato che avrebbe portato all’intervento armato, rappresentava l’atto di autorizzazione formale alla guerra.

La prova che era in cantiere il cambio di esecutivo sarebbe data da una riunione tenuta nel successivo mese di dicembre al Quirinale con il supporto di numerosi giuristi al fine di chiarire che l’activation order avrebbe impegnato anche un eventuale governo successivo.

I venti di guerra sulla Siria o l’Iran evocati per ora solo dai falchi, fanno peró tornare alla mente quel periodo, la ricerca affannosa di un equilibrio nuovo, il ruolo di Cossiga nella nascita di quello che di fatto fu un gabinetto di guerra.

Prodi ricorda come un incubo quel periodo. Chissá se le polemiche di questi giorni su Rifondazione Comunista gli hanno richiamato alla memoria la fine della sua prima esperienza di premier.

http://www.quaderniradicali.it/agenzia/index.php?op=read&nid=6823

Che Iddio lo fulmini, 'sto figlio di bottarga

By Frango mercoledì 15 febbraio 2006 - 19:57

beh in realtà ferrando ha sparato a zero anche su prodi ma la cosa è passata in secondo piano...
peccato, a parlar male di prodi si fa peccato, ma spesso ci si azzecca

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